BACK TO THE FUTURE: I BORGHI RINATI
È il 17 luglio 2019, a Milano viene presentato il volume “Borghi rinati. Paesaggi abbandonati ed interventi di rigenerazione”, a cura di Carlo Berizzi e Lucia Rocchelli. Nessuna polmonite anomala ammorbava Wuhan, il Mondo non conosceva ancora il Covid-19. Ad oltre un anno e mezzo dalla presentazione di quel libro siamo qui ad interrogarci sul futuro del turismo, cercando di tenerci aggiornati sui nuovi trend. Uno fra questi riguarda la rigenerazione dei borghi italiani: è questa la speranza dell’architetto Stefano Boeri
Il volume relativo alla rigenerazione dei borghi nasce da un’idea di Sigest, Real Estate attivo da oltre trent’anni nel settore residenziale, in particolare a Milano e in Lombardia.
In realtà è necessario fare un ulteriore passo indietro, poiché a suggerire la stesura di quel testo è l’esposizione del Padiglione Italia durante l’edizione della Biennale di Venezia del 2018: “Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del paese” era il titolo.
L’interrogativo sorge spontaneo: perché un’agenzia immobiliare milanese dovrebbe interessarsi, in tempi non sospetti, ai piccoli borghi italiani?
Perché «La vita nei borghi rigenerati può infatti rappresentare da subito un’alternativa all’abitare in città, promuovendo un modello slow da contrapporre allo stress della città globale».

Parole che profetizzano, anticipano – se vogliamo – la narrativa, sorta dopo la prima emergenza pandemica, relativa alla riscoperta dei borghi ed alla rigenerazione degli stessi. Infatti, l’architetto Stefano Boeri interpellato da Repubblica, cerca di rispondere al medesimo quesito: è la fuga dalle grandi città la possibile rivincita dei borghi italiani?
È così. Tuttavia, la sensibilità di Boeri coglie subito un possibile pericolo: la fuga dalle grandi città potrebbe portare alla stessa trasfigurazione dell’Italia che si è vista negli anni 70-80-90. Per non cascare in un disastroso abuso di suolo rurale e naturale è necessario «cercare di orientare questa forza centrifuga verso lo straordinario patrimonio di borghi che abbiamo». Sicchè non si tratta di costruire, ma di rigenerare.
L’Associazione Borghi più belli d’Italia, nata 19 anni fa, si è fatta promotrice di un progetto di rinascita, sviluppato in quattro punti fondamentali: il primo, intitolato “artigianato 4.0”, si propone creare le condizioni per incentivare il lavoro nei piccoli centri unendolo alla digitalizzazione; il secondo si rivolge ai giovani, quali motori effettivi di questo legame tra borghi e informatizzazione; il terzo riguarda l’accessibilità, ossia la risoluzione di quei problemi legati al trasporto pubblico (molto spesso i centri minori sono tagliati fuori dalle principali reti stradali); il quarto, ed ultimo punto si riferisce alla messa in sicurezza dal punto di vista idrogeologico e sismico.
È senz’altro un progetto ambizioso, ma che potrebbe portare buoni – se non ottimi – frutti sul mercato turistico post Covid. Lo conferma Fiorello Primi, presidente dell’Associazione Borghi più belli d’Italia, il quale ciricorda che «abbiamo, come attività legate al turismo, 13 milioni di pernottamenti con 1 miliardo e 200 milioni di euro per una popolazione complessiva sotto al milione di abitanti».
È un’economia importante e da non sottovalutare.
Per questo motivo, il 23 luglio del 2020, il Presidente dell’Associazione Borghi più belli d’Italia, scrisse una lettera all’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. In essa si percepiva l’incessabile attenzione che si deve rivolgere a queste realtà, a maggior ragione dopo la prima ondata pandemica. Il fatto che i nuovi trend muovano, finalmente, verso i centri minori e meno conosciuti, è un’occasione unica ed irripetibile per risolvere quelle problematiche che da tempo attendono e per restituire linfa vitale alla rete dei borghi che sono l’ossatura sulla quale si regge il corpo di tutta Italia. Fra le varie richieste, oltre ai quattro punti sopra citati, si fa riferimento: al finanziamento di eco-bonus per i comuni sotto i 5.000 abitanti; un fondo per il sostegno alla creazione di una nuova imprenditorialità da parte di giovani; un grande piano di riuso e trasformazione di aree e edifici dismessi o sottoutilizzati; il coinvolgimento di Università straniere e italiane affinché “adottino” ognuna un borgo per un progetto di rigenerazione sociale, ad esempio ad un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, queste riflessioni iniziano a intravedere i primipassi concreti.
È il caso di HQVillage. Questa start up vuole, valorizzando i centri che più hanno sofferto il fenomeno di spopolamento, creare nuove sedi aziendali alternative attraverso una rete di immobiliari privati e un’ampia offerta di servizi. Lo slogan è “best place to work”, poiché tutto ruota attorno all’attenzione per la valorizzazione sia del borgo ma anche della persona.
Con HQVillage collaborano architetti, urbanisti e designer al fine di valutare l’idoneità della piccola realtà in questione, analizzandone gli standard tecnici, qualitativi ed estetici. Si tratta di restituire vita ad edifici disabitati e lasciati in stato di abbandono, creando “sedi aziendali” per lavorare da remoto. La start up utilizza due modelli di lavoro: uno free e uno premium. In questo modo propone ai vari soggetti soluzioni gratuite o a pagamento a seconda del grado di consulenza e di analisi richiesto. «Piemonte, Toscana e Calabria sono le prime regioni dove il progetto ha preso vita e l’obiettivo è quello di arrivare, entro fine anno, a 300 lavoratori attivi in almeno tre borghi della favorendo l’albergo diffuso, l’insediamento di start-up, la creazione di opportunità di lavoro Penisola», questo è il proposito di HQVillage.
A muoversi in questa direzione vi è anche l’innovativa Smace, che trasforma il lavoro da remoto in un benefit aziendale. Smace, che sta per “smart work in smart place”, nasce a Ferrara nell’estate 2020. In questo caso le destinazioni si trovano in Toscana, Marche, Umbria, Emilia- Romagna e Lombardia. Andrea Droghetti e Marta Romero, i due giovani founders, hanno deciso di pianificare una serie di coupon per aziende da offrire ai propri dipendenti. Al momento le strutture ricettive che hanno accettato sono una decina, ma l’obiettivo di Smace mira ad arrivare a quota 50 entro fine anno.
In conclusione sembrerebbe che quelle che erano semplicemente delle perplessità pre-Covid, stiano trovando terreno fertile per diventare realtà concrete. La pandemia ha portato molto male in Italia, e nel mondo, ma forse anche qualcosa di buono: la sensibilità.

Come amava dire Renzo Piano: «Il nostro è un Paese bellissimo ma fragile. La nostra bellezza è un valore profondo al quale troppi di noi si sono assuefatti e non la colgono più. In Italia la bellezza è così straordinariamente diffusa che è diventata assuefazione, la gente la vive con distrazione, l’italianità genuina, la vita nei piccoli centri, la rigenerazione e valorizzazione senza accorgersene».


La storia ci insegna che c’è sempre un ritorno, il nostro, adesso, è verso l’italianità genuina, la vita nei piccoli centri, la rigenerazione e valorizzazione.